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La copertina è
bella.
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Leggere Chuck
Palahniuk negli anni '90 e 2000 era divertente. Libri pieni di personaggi
pazzarelli, temi estremi ed originali, colpi di scena ben assestati, una prosa
figa ed efficace.
Questa lettura, negli
ultimi anni, è diventata molto più rivelatrice. Oggi (con una nuova maturata
sensibilità, si spera) è facile individuare nei personaggi di Palahniuk il
prototipo dell'uomo occidentale, tendenzialmente etero, pieno di insicurezze e
privo di riferimenti, che cerca di compensare questo vuoto con attività folli,
pericolose e antisociali. È un uomo che non fa mai una vera autocritica o che
si mette davvero in discussione, preferisce piuttosto porsi come vittima del “sistema”
(la società? il consumismo? le relazioni? …) e – in quanto vittima – sentirsi
giustificato e deresponsabilizzato per quello in cui è coinvolto.
La sto prendendo alla
larga, ma ci arrivo.
Dicevamo che, letto
oggi, è facile constatare come questo “materiale” umano sia stato negli anni “coccolato”
e blandito dalle destre, che hanno cavalcato le sue insicurezze e paure,
convincendolo che l'origine del suo malessere non sia legato a un potere crudele,
egoista e ingiusto (=capitalismo), ma sia bensì da attribuire a stranieri che
rubano il lavoro, donne che si ostinano a essere indipendenti, pacifisti
vigliacchi che non vogliono difendere la vera civiltà.
Non credo sia una
interpretazione forzata, credo che Palahniuk (scrittore che adoro) sia una
buona lente per vedere quello che si stava muovendo nella società.
Nel 2000, la sua
narrativa era “pop”, disturbante, divertente. Oggi è più inquietante proprio
perché quei caratteri, quelle dinamiche, quei sentimenti sono esplosi e – in
quanto numericamente significativi (quindi: in quanto elettorato) – sono
clienti a cui dare il prodotto che cercano.
E questa è una
cosa che ormai le destre fanno benissimo, non solo per “meriti” propri, ma
anche perché forze (anche solo vagamente) di sinistra sono ormai incapaci di interpretare
e supportare le necessità del popolo e dell3 lavorator3. Questo – però – è un
tema ben più ampio, al di là della mia portata, ed è quindi meglio metterlo da
parte in questa sede.
Insomma: le
destre stanno crescendo solo perché il maschio bianco occidentale è in crisi e
loro gli fanno “pat pat” sulla spalla?
Di sicuro questo
è un elemento importante, ma non il solo, non il più importante.
Per capire quello
che sta succedendo, è meglio concentrarsi sugli USA, che – essendo la più
grande lente di ingrandimento di quello che logora l’Occidente – sono anche il
terreno dove certe cattive erbacce crescono più numerose e sono quindi più
visibili.
James David
Vance, detto JD Vance, è
un senatore repubblicano degli Stati Uniti d'America per lo stato dell'Ohio e
candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti d'America nelle elezioni
presidenziali del 2024. Vance, in realtà, anche se dopo un primo periodo di
scetticismo, è oggi uno dei fedelissimi di Donald Trump (per dire: la
teoria che le elezioni del 2020 fossero state truccate è la sua, tanto per
intenderci).
Volevo capire
come personaggi con idee così discutibili, crudeli ed estreme potessero avere
un “appeal” non solo sul ceto benestante/ricco (quello me lo aspetto: i ricchi
votano sempre stronzi che possono farli diventare più ricchi), ma anche tra i
lavoratori e chi non se la passa bene. Di base è la stessa domanda che mi
facevo nei primi anni di Silvio Berlusconi: “perché pensionati ed operai
lo votano?!”. Nel caso del cavaliere poi l’ho capito (anche in questo caso, non
parliamone qui, sarebbe troppo lungo), ma in USA la situazione mi risultava
troppo fumosa, qualcosa mi sfuggiva.
Così, ho fatto
quello che faccio ogni volta che provo a capirci qualcosa: leggo. In questo
caso, ho letto il libro di JD Vance (quindi, mi sono sacrificato io, voi non
fatelo, leggete questo post al limite), “Elegia americana”, spinto molto
ultimamente, anche perché Netflix ci farà o ci ha fatto un film.
Il libro è una
sorta di autobiografia in cui l’autore e i suoi editor, in modo molto
consapevole e chirurgico, raccontano la storia di un “ragazzo del popolo”,
pieno di problemi, che grazie a Dio, all’esercito e alla famiglia, riesce ad
avere successo, pur restando quel sempliciotto che è sempre stato.
In questo post
tralascio la narrazione dell’aspetto umano della vicenda (sembra il “Libro
Cuore” di Capitol Hill, anche se scritto bene… in Italia abbiamo Vannacci,
quindi inutile sentirsi superiori!), per concentrarmi sulle dinamiche sociali
ed economiche statunitensi che hanno portato una grossa fetta della popolazione
(bianca, disoccupata e che vive grossomodo nella zona degli Appalachi) a sostenere
(e votare in passato) un ricco e folle coglione con il riporto.
I Monti Appalachi attraversano il West Virginia
e l’Ohio. La zona interessa anche il Kentucky e si ferma verso il Lago Erie,
prima del Canada.
Il libro descrive
la condizione di un’ampia fascia di popolazione che sarà poi intercettata dai
Repubblicani: proletari bianchi di origine scozzese/irlandese (nel XVIII
secolo, gli immigrati scozzesi e irlandesi si riversarono sui Monti Appalachi:
Alabama, Georgia, Ohio, …), o che hanno lasciato presto gli studi. Sono persone
per le quali la povertà è una sorta di tradizione di famiglia: gli antenati
erano braccianti nell’economia schiavista del Sud, poi mezzadri, dopo minatori,
infine meccanici e operai.
Viaggiamo nella “rust belt”, tra gli Appalachi e i
Grandi laghi. Il termine “rust” lascia intendere che è la zona dell’industria
pesante, andata poi in declino (“ruggine”, appunto). Parliamo di persone che,
in modo semplicistico forse, sono definiti “hillbilly”, “redneck”, “white
trash”.
Anche se europei,
le caratteristiche di queste persone ci sono familiari, ci sono state
raccontate da film, serie TV e romanzi: un concetto (un po’ personale e
machista) di lealtà, dedizione (anche qui “pro forma”) alla famiglia,
diffidenza rispetto gli estranei.
Nell’era Nixon, gli assetti politici della zona
cambiarono, perché il voto si spostò dai Democratici ai Repubblicani: la classe
degli operai bianchi in declino (che vide venire meno i capisaldi della loro
cultura: diminuzione della mobilità sociale, incremento della povertà,
sfaldamento della famiglia tradizionale, diffusione delle droghe, abuso di
alcol, …) si rivolse all’altra parte, in cerca di conforto e soluzioni. Che non
arrivavano, comunque: le aziende continuavano a chiudere e i problemi si
confermavano.
È in questo
contesto che va inserita l’interpretazione che la popolazione diede di questi
problemi. Non fu messo in discussione il sistema politico e sociale (=
capitalismo sfrenato occidentale), ma ci fu un approccio più individualista:
non era il Governo a dover mettere le persone in condizioni di vivere bene, ma
era il singolo che con impegno e duro lavoro poteva cambiare il proprio
destino.
Ovviamente,
questa è una cazzata. La retorica dell’impegno che risolve tutto ha mostrato
ampiamente i suoi limiti (chi riesce ad avere successo non parte mai da una
situazione disastrosa, non è mai solo, e ha vari “ammortizzatori”: famiglia
potente o ricca alle spalle, sicurezza finanziaria di base, uno zio prete, …).
L’impossibilità
di migliorare la propria vita, quindi, fu “introiettata” (come direbbe Biascica) e portò a senso di colpa e
depressione.
Questa è la mia
lettura ovviamente, nel libro troverete invece la narrazione della classica epica
statunitense sul “self made man”. Ma basta un minimo di lettura più ampia per
capire come sono andare davvero le cose.
L’autore,
addirittura, riconosce che questo senso di pessimismo perenne, faceva dei
bianchi della “rust belt” una classe ancora più in difficoltà delle classiche
minoranze USA (neri, messicani, latinos): infatti, a differenza loro, per la
popolazione degli Appalachi era sparita la benchè minima speranza di cambiare
le cose.
Onestamente non
so se un ubbriacone dell’Ohio stesse peggio di un nero arrestato solo perché si
trovava nel posto sbagliato, ho i miei dubbi. Tuttavia, questo ci fa capire
quanto nella “rust belt” si sentissero in debito per avere una vita migliore.
E, quindi, quanto erano disposti a essere lusingati da una certa retorica di
destra che li coccolava e dava un senso di rivalsa, ad esempio con la storia
del “noi contro loro”.
Addirittura la
famigerata “guerra tra poveri” era all’ordine del giorno: i poveri (quelli che
lavoravano, ma guadagnavano poco) se la prendevano con i disoccupati, che
percepivano un sussidio senza fare niente. È una dinamica che anche in Italia
ci dovrebbe essere molto familiare (coff… RDC… coff… unica cosa buona fatta da
M5S… coff…). E in questi anni che nasce la figura della “welfare queen”, vista
come parassita della società e di quelli che lavorano.
Le vicende
personali di JD Vance sono usate (molto bene, devo dire) per raccontare la
storia di quei luoghi.
Tra gli anni ’70
e ’80, la popolazione da Jackson (Kentucky) si trasferì a Middletown (Ohio) per
lavorare nelle grandi industrie (come la celebre acciaieria Armco). Erano
“bifolchi” che emigravano per migliorare le proprie condizioni, ma restavano
una comunità “chiusa”: nel nuovo stato non si integrarono benissimo, restando
in quartieri tutti loro. Questa fu la seconda ondata, la prima era già avvenuta
dopo la Grande guerra.
Nel 1984 Regan ebbe un enorme successo nella
“rust belt”, e fu una grossa sconfitta per i Democratici. Quello democratico,
almeno a parole, si erano sempre dichiarato come il partito dei lavoratori. Ma
se erano proprio i lavoratori a passarsela male, allora aveva fallito. I
votanti virarono tutti più a destra, dove la retorica di cui abbiamo parlato
prima, li blandiva e li consolava (anche se le condizioni effettive di povertà
e “quality of life” non cambiarono).
I Dem si
concentrarono più su altre battaglie che, per quanto importanti, non aiutavano
l’elettorato perso (come le battaglie civili, o di tipo sociale), allargando la
distanza tra quello specifico (e ampio) settore del paese e la sua
rappresentanza politica.
A margine,
un’altra considerazione, non vorrei essere frainteso. Che siano Democratici o
Repubblicani, come detto, la loro visione del mondo resta fortemente basata sul
capitalismo. Il loro fine non è uno stato sociale e una redistribuzione del
reddito, bensì resta quello di aiutare i poveri promettendo di farli diventare
un po’ più ricchi. Ma poveri continueranno sempre ad esistere, così. Un esempio
di questo POV è anche il (bel) film “Dumb money” (2023), in cui si racconta –
come se fosse chissà quale rivoluzione – una vicenda (importante) che aveva
visto un gruppo di piccoli investitori arricchirsi alle spese di qualche Big Company.
Per carità, fa piacere sempre se i ricchissimi soffrono, ma gli statunitensi
vedono come fine ultimo quello di diventare più ricchi, non quello di eliminare
la povertà.
Democratici e
Repubblicani restano 2 partiti di destra: ai primi piace (forse) un po’ meno
sparare che ai secondi, ma a entrambi piace il capitalismo.
Torniamo a noi.
Ho letto questo
libro, ho capito un po’ meglio la mentalità di quelle zone, capisco un po’
meglio come un personaggio come Trump abbia un certo successo.
Non credo che
vincerà le elezioni, non ne sono certo, di base gli statunitensi sono stupidi.
Ma so che se
perderà ci saranno disordini. C’è troppa rabbia che non aspetta latro che
esplodere.
Il modo giusto
sarebbe che fosse una esplosione rivoluzionaria all’insegna della lotta di
classe.
Ma questi sono
gli USA, baby. Sarà uno show violento e reazionario.
Ne hanno già
pitchato la serie TV.