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venerdì 14 giugno 2024

[Ciak Norris] - A taxi driver (2017)

 

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Warning: contiene qualche spoiler.

Meglio se vedete prima il film. Anzi, va bene anche se vedete solo il film e non leggete questa piccola recensione. Ma vedete il film, trust me.

 

Un tassista di Seul (l’attore Song Kang-ho, già apprezzato in “Snowpiercer”, “Memorie di un assassino” o “Parasite”), rimasto vedovo, cresce la figlia da solo, arrabattandosi col lavoro e racimolando i soldi per l’affitto, le spese quotidiane e le necessità della bambina.

Inaspettatamente arriva un’opportunità: riesce a rubare un cliente a un collega tassista. Questo cliente è uno straniero (un tedesco), deve raggiungere la città di Gwangju ed è disposto a pagare una bella cifra.

La storia inizia quasi come una commedia leggera, ma con l’avanzare della narrazione scopriamo come stanno le cose: il tedesco è un giornalista che si sta recando in segreto a Gwangju per documentare le proteste in corso, cercando di evitare i controlli del regime coreano.

 

Gwangju è una città della Corea del Sud. Nel 1980 (il 18 maggio) ci fu una forte rivolta popolare (guidata soprattutto da studenti e professori) contro la dittatura di Chun Doo-hwan.

Chun Doo-hwan prese il potere nel 1979 dopo un colpo di stato (in cui il presidente in carica venne assassinato), instaurando la Legge marziale. Questa dittatura durò fino al 1988, quindi è facile dedurre che la rivolta non andò bene.

In realtà, fu un vero massacro: la repressione ad opera dell’esercito sudcoreano portò a un numero di vittime stimato tra le diverse centinaia ed alcune migliaia. La dittatura e l’esercito coprirono le loro violenze e il massacro usando la propaganda della “rivolta comunista” come copertura, tanto per cambiare.

Solo anni dopo, una volta instaurato un regime democratico, la verità iniziò a venire a galla, portando anche alla condanna (nel 1997) di Chun Doo-hwan (che poi venne graziato in seguito…).

Nel 2002 fu creato un cimitero nazionale per le vittime del massacro e il 18 maggio venne dichiarata giornata nazionale di commemorazione.

 

Il film racconta i terribili giorni della rivolta e, complice il ritmo e i tempi dilatati della narrazione, ci mostra la crudeltà e la violenza in atto. La storia mostra anche il ruolo importante dei tassisti della città durante la rivolta, essendo in pratica gli unici in grado di trasportare i feriti o supportare gli spostamenti strategici dei manifestanti. Le vicende sono essenzialmente mostrate tramite gli occhi del tassista protagonista: un ex militare inizialmente incredulo e scettico sulle violenze dell’esercito, ma che poi deve fare i conti con la spaventosa realtà. Ed è proprio questa realtà (relativa alla violenza del potere, alla crudeltà del regime, al massacro operato dell’esercito) che lo trasforma profondamente, portandolo ad essere una persona diversa.

Ogni dolore, sofferenza e ingiustizia a cui ha assistito in quei giorni lo marchia inevitabilmente nel profondo, e questa è una cosa dalla quale non si sfugge.

Il tassista e il giornalista sono ispirati a persone reali e a quello che davvero hanno vissuto in quei giorni.

 

In Italia, siamo reduci dai crimini commessi dal governo e dagli sbirri a Genova nel 2001, dove manifestanti e movimenti (di ogni età ed estrazione) sono stati vittima di violenze e torture, culminate nell’assassinio di Carlo Giuliani. Questi sono stati eventi che, con la complicità dei partiti di sinistra (?) che hanno disertato nei fatti a supportare le vittime nei mesi e negli anni successivi, hanno distrutto (in pratica) un movimento che davvero stava cambiando le cose.

La speranza è che tutto questo ci aiuti a capire come alcuni movimenti, tante proteste (leggi: quello che succede oggi in difesa della Palestina o a supporto delle lotte di molti lavoratori) vadano supportate da tutte e tutti. Perché è in ballo qualcosa di più grande, legato alla nostra umanità e alla nostra dignità.

Perché il potere è sempre pronto a colpire duro. E noi tutti abbiamo il dovere, la necessità e la forza di colpire ancora più forte.

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